Durante la visita alla famosa cantina Biondi Santi sono stato accompagnato dalla loro collaboratrice Serena, che mi ha guidato attraverso la storia della famiglia e della nascita del prodotto più caratteristico della zona di Montalcino, il Brunello! Il mio intento è quello di trascrivere fedelmente le parole di Serena senza contaminare con riflessioni e/o osservazioni personali i concetti da lei espressi, in modo da permettere al lettore di fare un viaggio all’interno di una delle più importanti e antiche cantine d’Italia.
“In questo territorio, nel 1800, nasce il Brunello. Molti attribuiscono la paternità del Brunello a Ferruccio Biondi Santi, semplicemente perché è stato colui che ne ha prodotto la prima bottiglia e quindi ha effettuato la prima vendemmia codificata come Brunello di Montalcino.
In verità Ferruccio Biondi Santi si è limitato a continuare le pratiche di suo nonno, Clemente Santi, che produceva un vino 100% sangiovese invecchiato in legno, ma che al tempo non chiamava Brunello di Montalcino.
Abbiamo un documento tra i più antichi, ancora in nostro possesso, che attesta una delle prime produzioni nel 1865. Questo vino è stato prodotto con la vendemmia del 1865, ma presentato ad una esposizione locale di Montepulciano nel 1869, questo certifica la volontà del produttore di tenere il vino quattro anni in cantina, una pratica all’epoca sconosciuta all’interno delle realtà vitivinicole del tempo.
Clemente Santi, inizia la sua rivoluzione seguendo la filosofia francese, ossia strutturando il vino per il lungo invecchiamento piuttosto che per la fruizione immediata e viene attribuita proprio a Clemente Santi l’intuizione di utilizzare il sangiovese in purezza abbinandolo ad un affinamento molto lungo.
Clemente, spinto anche dall’arrivo della fillossera, si vede costretto a selezionare le piante di sangiovese più “meritevoli”, per poi innestarle su piede americano. In sostanza, ogni volta che si doveva creare un nuovo vigneto o sostituire un vigneto esistente, l’innesto veniva fatto direttamente in vigna perché per la famiglia era importante non modificare le condizioni pedoclimatiche. Da lì in avanti tutte le generazioni future, faranno innesti direttamente in vigna.
Questa filosofia è stata seguita fino agli anni ’70, periodo in cui la famiglia ha sentito l’esigenza di codificare un clone di sangiovese e grazie ad una collaborazione di 5 anni con l’Università di Firenze, sono state prese in analisi 50 delle piante più “meritevoli”. Al termine delle microvinificazioni, la vite numero 11 è stata quella che ha dato il risultato migliore, ossia quello che più di tutti descriveva le condizioni pedoclimatiche dei vigneti Biondi Santi. Questo clone è stato registrato come clone europeo sangiovese grosso BBS11, un acronimo che sta per Brunello Biondi Santi vite numero 11.
Quindi ad oggi, i 25 ha di vigneto della famiglia Biondi Santi, hanno la coesistenza di due cloni: un clone che arriva direttamente dall’innesto di un pre-fillossera su base americana e l’altro che è il sangiovese grosso BBS11.”