Bianchetta genovese in purezza

La Bianchetta genovese è un vitigno autoctono ligure a bacca bianca, prodotto nel Genovesato e in particolare nella Val Polcevera, ma lo possiamo trovare anche nel Carrarese.

Registrato tra le varietà autorizzate dalla Regione Liguria dal 1970, prodotto in purezza, fa parte della DOC Golfo del Tigullio Portofino, sottozona Costa dei Fieschi. La Bianchetta genovese fa, però, parte di molte denominazioni liguri, tra le quali Colli di Luni, Colli di Levante, il Val Polcevera. Chiamato semplicemente Bianchetta nel Cinque Terre, lo possiamo trovare anche nello Sciacchetrà. Studi ampelografici hanno dimostrato che la Bianchetta genovese presenta molti tratti di DNA in comune con l’Albarola, tanto da poter essere considerata la stessa uva.

Il nome è da ricondurre al colore molto chiaro degli acini in maturazione, così chiari da essere quasi trasparenti; altri nomi sono “Nostralino”, nella tradizione un vino bianco semplice, attualmente prodotto in assemblaggio insieme al Vermentino, oppure “Gianchetta” ossia Bianchetta in dialetto genovese.

Vitigno dal nerbo tenace, predilige terreni costituiti da rocce friabili (come il tarso), una buona esposizione e ventilazione; grazie alla resistenza al freddo e quindi a una maturazione più tardiva, la Bianchetta genovese risulta essere particolarmente adatta al clima delle vallate liguri. Presenta grappoli compatti, conici, con acini piccoli dalla buccia sottile.

Veniva coltivato già da tempi molto antichi in Toscana, ma alcuni storici farebbero risalire le sue origini in Veneto, dove veniva utilizzato per ammorbidire il prosecco delle annate più fredde. Venne descritta per la prima volta da Gallesio agli inizi dell’Ottocento, sostenendo un legame di parentela tra l’Albarola delle Cinque Terre e la Bianchetta genovese, tesi confermata solo nel 1993 da Schneider. Venne citata anche da Gerolamo Guidoni, geologo e naturalista, corrispondente ligure di Giuseppe Acerbi (autore di importanti opere di viticoltura ed enologia nell’Ottocento), e chiamata “Albarola trebbiana”. In passato, vista la sua ampia diffusione e coltivazione parcellare, veniva utilizzato in assemblaggio con altri uvaggi locali. E’ stato Pierluigi Lugano, dell’azienda Bisson, a rilanciare la produzione di vini liguri locali in purezza, smussando quegli angoli troppo vivi dei vini autoctoni liguri.

A caratterizzare la Bianchetta sono un colore giallo paglierino tenue, dai riflessi vivaci, dall’olfazione fine e delicata, con sentori di biancospino, nespola e mela verde; fresco e sapido, un corpo non molto strutturato, ma di piacevole beva.

A oggi sono pochi i produttori di Bianchetta genovese in purezza, tutti localizzati nella zona di Chiavari e Sestri Levante, tra i più importanti ricordiamo l’Azienda vitivinicola Bisson, l’Azienda agricola PinoGino, le Cantine Bregante. Siamo però andati a trovare un giovane produttore che si sta facendo conoscere nell’ambiente vitivinicolo del Levante ligure per vini e prodotti di qualità. Si tratta della Società Agricola Casa del Diavolo a Castiglione Chiavarese, in località Montà: a gestirla è Valerio Sala, un ragazzo di 33 anni originario della Brianza. Giunti a Castiglione Chiavarese, una piccola strada immersa nella vegetazione ci porta al fondo della Val Petronio, dove scorre l’omonimo fiume. Le vigne sono disposte a Sud-Ovest, come a tappezzare un emiciclo, sfruttando la migliore esposizione, a 270 metri slm. Nel 2010 ha deciso di abbandonare l’attività famigliare e di rilevare l’azienda vitivinicola esordendo sul mercato con il raccolto del 2014: “conoscevo già il territorio, venivo in vacanza a Moneglia da circa 15 anni; non volevo passare tutta la mia vita in un capannone e così, in accordo con i miei genitori, decisi di rilevare l’azienda Casa del Diavolo”. Ci racconta che ha passato il primo anno di addestramento, imparando i trucchi del mestiere dal precedente proprietario, seguendone consigli e cercando di carpirne i segreti. Ha deciso di mantenere il nome della precedente azienda: “in paese si racconta che la casa del diavolo fosse un capanno a fondo valle, costruito da un signorotto locale per rinchiudervi la figlia, oggetto di insistenti attenzioni”. Lentamente ha acquisito altri terreni, raggiungendo l’ettaro di superficie vitata: la produzione è complessivamente di 5.000 bottiglie, prevalentemente Bianchetta genovese (50%), ma anche Ciliegiolo e Dolcetto. Da qualche anno è presidente della Coldiretti di Genova e obiettivo del suo mandato è quello di rafforzare e unire le piccole realtà agricole e vitivinicole del genovese. La chiacchierata con Valerio Sala è piacevolmente accompagnata dalla compagnia del suo cane e dal chiocciare delle galline nel pollaio; parallelamente alla produzione vitivinicola si snoda tutta l’attività dell’azienda, costituita da allevamento e coltivazione di ulivi ed ortaggi.

Produce una Bianchetta che lui stesso definisce come “particolare”, lasciando il mosto a contatto con le bucce e successivamente in acciaio per il completamento della fermentazione. Ci racconta le difficoltà che incontra la Bianchetta nel ritagliarsi un piccolo spazio nel panorama ligure, sgomitando tra le decisamente più ampie produzioni di Vermentino: “povera la mia Bianchetta, soppiantata dal Vermentino!”. Ci accomodiamo al tavolo e in mano i calici ci prepariamo a degustare due annate consecutive di Bianchetta genovese:

  • 2015, 13% alc: dal colore giallo paglierino, di una spiccata lucentezza; al naso si avvertono note erbacee, fiori di limoni e sambuco, uno spunto di riduzione a rapida dissoluzione. In bocca ci appare freschissimo e sapido, stimola una piacevole salivazione che ci invoglia a portare nuovamente alla bocca il bicchiere. Intenso, persistente e di qualità fine, ci appare giovane, ma ai limiti del pronto.
  • 2014, 12,5% alc: viste le premesse derivanti dall’assaggio del 2015, siamo impazienti di degustarlo e le nostre aspettative non vengono tradite. Nel bicchiere si presenta vestito di una elegante livrea gialla paglierina, con riflessi dorati, cristallino. Al naso prevalgono sentori terziari che richiamano gli idrocarburi e lo smalto, fruttati (mela e nespola), floreali. Un anno in più in bottiglia conferisce una maggiore complessità, equilibrando maggiormente le durezze con un’aggraziata morbidezza. Anch’esso intenso e persistente di qualità fine; pronto, a tutto pasto.

Due vini “differenti”, da bere nell’arco di un massimo di due anni, con un terroir che si esprime con una piacevole freschezza ed una sapidità non così incisiva ed invadente. Il primo più leggero e adatto a un aperitivo, accompagnando una chiacchierata, magari proprio ad un piatto di bianchetti. Il secondo più complesso ed equilibrato, si accompagna bene a pesci più grassi oppure alla torta pasqualina genovese, esaltandone profumi e aromi vegetali. Siamo impazienti di assaggiare il 2016.

In etichetta compare una mela rossa che ci ricorda un po’ il frutto proibito di antiche scritture; il frutto del lavoro di un ragazzo che ha deciso di mettersi in gioco, a contatto con la natura, cercando di valorizzare il territorio che lo ha adottato.

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