Giungo a Rovescala in una nebbiosa mattina di febbraio, alla ricerca della Bonarda, per uscire dallo stereotipo che accompagna da sempre questo vino. L’appuntamento con Giorgio Perego è stato più volte rimandato ma, finalmente siamo riusciti ad incontrarci in azienda.
Giorgio è brianzolo ma trapiantato qui, in Oltrepò, terra dei suoi avi da parte di madre. Dopo il liceo ha scelto di dedicarsi all’agricoltura e lo ha fatto in un crescendo di scelte che lo hanno progressivamente allontanato da tutto quanto è in contrasto con la natura.
La sua Bonarda, che qui in Oltrepò significa 80% Croatina e 20% tra Barbera, Vespolina e Uva Rara è molto diversa dalla maggior parte di quelle finora assaggiate. In primo luogo, è ferma, ragion per cui, come prevede il nuovo disciplinare, uscirà d’ora innanzi come “vino rosso”. In secondo luogo, pur nella sua tipica rusticità, presenta un olfatto pulito e complesso e, soprattutto, una eccezionale persistenza.
Giorgio Perego è uno sperimentatore, ma ritiene che la cantina debba essere esclusivamente il luogo in cui l’uva diventa vino, a patto che il lavoro in vigna sia stato ineccepibile.
Ciò significa eliminare ovunque possibile l’abuso enologico in cantina, riducendo e spesso eliminando qualsiasi aggiunta. È così che nascono i suoi vini con solfiti dichiarati in etichetta sotto i 2 mg/l.
Una scelta, una sfida, una battaglia da combattere quotidianamente, già in vigna: non dimentichiamoci che siamo in Oltrepò, non in Borgogna. Le colline, per quanto pittoresche, hanno terreni argillosi e marnosi con falde acquifere onnipresenti, un bel problema per chi vuol fare solo qualità.
Così, la vigna si sta rigenerando, grazie soprattutto all’uso esclusivo di letame naturale, “predigerito” da appositi starter biologici. Gli effetti sono chiaramente visibili a livello di vitalità della pianta, che sicuramente cresce in condizioni di stress più limitato.
L’Oltrepò, tra quantità (molta) e qualità (poca)
E poi c’è il problema della quantità, di quella Milano invadente e ancora troppo legata al ricordo delle bonardone mosse in damigiana, vino da famiglie, vino alimento.
È difficile, come mi fa notare Perego, proporre un vino di qualità ad un prezzo che permetta di sostenerne i costi di produzione. La Bonarda resta comunque un vino da largo consumo, per il quale pochi sarebbero disposti a sborsare una somma a due cifre.
Così, tutti i produttori sono obbligati a ripiegare sulla grande distribuzione, per fortuna, perché ciò garantisce l’esistenza di un piccolo polmone finanziario per tutti, ma anche purtroppo.
I produttori sono tantissimi e troppi accettano di scendere a compromessi, tanto in vigna quanto in cantina, pur di vendere a basso prezzo e garantirsi il rinnovo dei contratti.
Poi c’è la questione delle certificazioni: un costo per tutti e, a dirla tutta, un’arma a doppio taglio, per un territorio come questo. Perché dovrei comprare una Bonarda con certificazione biologica? Che, girato dal punto di vista dell’intermediario commerciale va letto, perché pagare per un prodotto che, comunque, non rispecchia un territorio virtuoso?
Nonostante tutto, Giorgio Perego è tra quelli che perseverano e non si lasciano sopraffare da mere logiche di mercato.
Gli assaggi
Iniziamo ad assaggiare in cantina, come si fa in Borgogna, dai serbatoi e dalle barrique. Poi, nella splendida cornice del castello di Rovescala, Giorgio Perego mi presenta le sue bottiglie: Croatina, ma non solo.
Degustiamo, infatti, prima di tutto, un interessante Müller-Thurgau, vinificato sia fermo che Charmat, seguono le Bonarda mossa, Charmat, per concludere con il Giubilo, il rosso fermo top di gamma.
L’impressione è di trovarsi di fronte a quei vini che forse non avranno una piacevolezza completa all’olfatto, però, secondo me, hanno qualcosa in più, di molto più importante.
Hanno la capacità di emozionare.